I primi cinque numeri di ECO

Il grande spreco

Il nostro sistema educativo disperde capitale umano a tutti i livelli: dagli asili nido fino all’università. Per una scuola di qualità servono prima di tutto insegnanti di qualità, ma stiamo perdendo l’occasione offerta dal Pnrr per riformare reclutamento, retribuzioni e carriere degli insegnanti. E poi bisogna “aprire” le scuole, in senso letterale e in senso metaforico, per dare opportunità anche a chi proviene da contesti svantaggiati, a partire dai figli degli immigrati. 

Se chiedete a un politico in campagna elettorale di dirvi come finanzierà le sue costosissime (per le casse pubbliche) promesse, potete star sicuri che vi risponderà: “eliminando gli sprechi”. Il motivo è semplice: gli sprechi, almeno in linea di principio, possono essere eliminati senza danneggiare nessuno. È come cercare di riparare un tubo dell’acqua che disperde una risorsa fondamentale (si veda il grafico di questo mese sulla siccità) e genera fastidiose infiltrazioni a qualche vicino. Se l’operazione può essere fatta a costi contenuti, la riparazione del tubo diventa vantaggiosa per tutti. Nessuno scontento e riparatore osannato. In realtà è molto difficile individuare tra le maglie del bilancio pubblico spese che, se tagliate con una riga della legge di bilancio, non creerebbero forte scontento in qualche segmento della popolazione. Ed è proprio per questa ragione che molte battaglie contro gli sprechi si esauriscono al termine della campagna elettorale. Svaniscono nel nulla una volta deposto il voto nell’urna.

C’è però uno spreco immenso che potrebbe essere ridotto con benefici per tutti e di cui si parla molto poco in campagna elettorale. Si tratta del gigantesco spreco di capitale umano, delle centinaia di migliaia di giovani che studiano in Italia e faticano a trovare lavoro e, quando lo trovano, spesso sono impiegati in mansioni che richiedono competenze molto diverse da quelle che hanno acquisito in anni di studio. Il tutto mentre ci sono imprese che magari richiedono proprio quel profilo di competenze e non riescono a trovare i lavoratori di cui hanno bisogno. È lo spreco di un paese in cui ci sono forti tassi di abbandono scolastico, il cui sistema educativo crea dei veri e propri vicoli ciechi che non immettono nel mercato del lavoro, né inducono a continuare gli studi, gonfiando il novero dei cosiddetti Neet (Not in Employment, Education and Training, persone che non sono né occupate, né coinvolte in istruzione formale o formazione). 

Carenze di manodopera e giovani disoccupati

È uno spreco di capitale umano che non possiamo più permetterci. Sono le dinamiche demografiche a imporci di affrontarlo. Ogni anno la nostra forza lavoro perde circa 80 mila persone. Sono lavoratori che si ritirano dalla vita attiva e non vengono sostituiti da nuovi ingressi di giovani in età lavorativa, siano essi nati in Italia o immigrati. Certo, almeno in linea di principio, le imprese potrebbero fare a meno di queste persone adottando tecniche produttive che risparmiano sulla forza lavoro. Ma non è così: Il tasso di posti vacanti (la percentuale di posti non riempiti sulla forza lavoro) è triplicato negli ultimi anni. Mentre quattro anni fa solo un’impresa su venti lamentava carenze di organico, oggi quasi un’impresa su due non riesce a riempire i posti vuoti. 

Eppure, nonostante la scarsità di manodopera, abbiamo quasi 2 milioni di disoccupati e più di 3 milioni di persone in età lavorativa che non hanno e non cercano lavoro. Lo spreco di capitale umano è accentuato dal fatto che i giovani sono mediamente più istruiti di coloro che vanno in pensione. Circa il 15% delle persone che hanno tra i 60 e i 65 anni di età ha soltanto un’istruzione primaria contro meno dell’1% fra chi ha tra i 25 e i 30 anni di età. 

Cosa possiamo fare per ridurre questo immenso spreco di capitale umano? In questo numero di eco ci concentriamo su come evitare di disperdere l’investimento in capitale umano compiuto ogni anno da migliaia di famiglie e dal nostro sistema educativo. Cerchiamo di capire cosa può esser fatto per includere chi è in condizioni di svantaggio, a partire dalla scuola materna. Ci interroghiamo su come possiamo diminuire gli abbandoni scolastici a tutti i livelli, non solo nella scuola dell’obbligo, ma anche nel passaggio dalla scuola secondaria all’istruzione terziaria. Valutiamo come realizzare l’obiettivo dell’obbligo scolastico, che non è quello di selezionare, ma di fornire a tutti, figli di immigrati compresi, una cultura di base. E ancora ci chiediamo come migliorare la qualità dell’istruzione professionale indirizzandola meglio verso le esigenze del mercato del lavoro, e come adeguare l’istruzione universitaria di fronte alle sfide e alle opportunità associate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa.

Una dispersione che avviene a più livelli 

La dispersione scolastica avviene a più livelli: dalle mancate iscrizioni alla scuola materna, al passaggio tra scuola secondaria inferiore e superiore, alla transizione fra quest’ultima e l’università. La indaghiamo perciò in tutte queste sue manifestazioni e proviamo a pensare a rimedi.

Uno degli obiettivi del Pnrr era quello di aumentare l’offerta di asili nido, del tutto insufficiente nelle aree più svantaggiate del paese. La loro scarsità spiega in gran parte perché in Italia vada al nido solo un bambino su cinque, tra 0 e 2 anni di età, proveniente da famiglie a basso reddito. Prima del Pnrr le politiche a sostegno dei servizi educativi per l’infanzia avevano agito quasi esclusivamente sul lato della domanda, con strumenti, come il bonus asili nido, che non potevano che avvantaggiare solo chi risiede in aree dove c’è una relativamente ampia dotazione di nidi. Purtroppo, i dati disponibili ci dicono che il Pnrr ha sin qui fallito nel suo obiettivo. I fondi sono stati spesi in gran parte per abbellire le scuole d’infanzia (per bambini tra i 3 e i 5 anni), il cui numero era già in partenza sufficiente a garantire a nove bambini su dieci in quella fascia di età la possibilità di fruire dei servizi educativi. Sono pochi i nuovi asili nido creati perché ai comuni non sono state date sufficienti garanzie su come le spese di gestione (a partire dal salario delle educatrici) sarebbero state coperte. Non a caso nella revisione del Pnrr il numero di nuovi posti nido è stato quasi dimezzato (scende da 264 mila a 150 mila e anche su questo obiettivo fortemente ridimensionato molti lavori sono in ritardo).

Il nido non è un parcheggio dove lasciare i propri figli mentre si lavora; sono ambiti in cui i bambini sviluppano abilità non-cognitive fondamentali. È qui che apprendono ed esercitano le proprie abilità sociali e pro-sociali, sia innate che apprese per imitazione, mostrandosi sensibili nei confronti dei coetanei, attivi nel consolarli e nell’alleviare il loro il disagio. È qui che imparano a stabilire e mantenere relazioni, a sviluppare il senso di appartenenza al gruppo al di là del colore della pelle e dei rispettivi paesi di provenienza. Lo ius scholae dovrebbe incoraggiare l’iscrizione agli asili nido dei figli di immigrati anche perché questo facilita il processo di apprendimento della nostra lingua, evitando rallentamenti nell’esecuzione del programma didattico della scuola primaria. 

Se gli abbandoni durante la scuola dell’obbligo si sono fortemente ridotti nel tempo e ormai coinvolgono una esigua percentuale della popolazione, c’è invece molta dispersione nel passaggio dalla secondaria inferiore a quella superiore e poi negli otto anni che seguono. Documentiamo come quasi uno studente su sei abbandoni la scuola secondaria superiore prima di conseguire il diploma. Tra i figli di immigrati il tasso di abbandono è superiore al 20%. Nel passaggio dalla scuola secondaria superiore all’università c’è poi la fuga in massa dal sistema educativo. L’istruzione terziaria coinvolge in Italia meno di una persona su tre fra i 25 e i 34 anni e il 7% degli studenti lascia gli studi alla fine del primo anno di università. 

Ma ciò che è ancora più allarmante è la dispersione implicita, cioè l’abbandono del processo di apprendimento più che dalla scuola in quanto tale. In Italia uno studente su cinque al termine dell’obbligo scolastico non sembra avere ricevuto quell’istruzione di base – in termini di comprensione di testi, matematica e scienze – che è prerequisito fondamentale per una cittadinanza attiva. Se ci concentriamo su matematica e italiano, la dispersione implicita coinvolge addirittura uno studente su due. 

La qualità dell’istruzione è indissolubilmente legata al lavoro degli insegnanti. Molti studi (ad esempio quelli condotti negli Stati Uniti nell’ambito dei progetti Public Impact) documentano come gli studenti che hanno la fortuna di avere avuto gli insegnanti più bravi riescono a colmare anche forti gap formativi iniziali e hanno rendimenti scolastici mediamente due volte superiori rispetto a chi, partendo dallo stesso livello di istruzione, ha la sfortuna di incontrare insegnanti di bassa qualità. Anche su questo versante il Pnrr ci offriva una grande opportunità per valorizzare il lavoro dei docenti, modificando le modalità di reclutamento, formazione iniziale, formazione in servizio e carriera di quelli delle scuole secondarie. Purtroppo, come documentiamo, stiamo fallendo anche su questo piano. Magari rispetteremo alcuni degli obiettivi quantitativi richiesti da Bruxelles per erogare nuove tranches del Pnrr, ma se ci riusciamo è solo perché abbiamo preso scorciatoie che hanno svilito il lavoro degli insegnanti, contravvenendo all’obiettivo di garantire a chi investe nell’aggiornamento professionale prospettive di carriera con riconoscimenti salariali adeguati. 

Aprire le scuole per abbattere gli abbandoni

Il modo più efficace per contrastare l’enorme dispersione di capitale umano consiste nell’aprire le scuole. Aprire le scuole vuole dire tante cose. Vuol dire innanzitutto aprirle durante i lunghi periodi di chiusura estiva, i pomeriggi senza lezioni, i fine settimana, per colmare lacune educative che potrebbero compromettere gravemente il percorso di apprendimento di molti studenti. Forniamo una rigorosa valutazione del progetto “Arcipelago Educativo” che ha garantito laboratori didattici e tutoraggio personalizzato a 700 studenti della scuola primaria in nove città italiane durante l’estate. I risultati, sia quantitativi che qualitativi, sono molto incoraggianti ed è un’esperienza che può essere facilmente estesa su tutto il territorio nazionale. Sempre che la regionalizzazione dell’istruzione prevista dalla legge Calderoli avvenga introducendo meccanismi perequativi fra regioni. Altrimenti rischiamo che i divari già macroscopici fra regioni settentrionali e meridionali nel tenere aperte le scuole (nell’offrire il tempo pieno) si accentuino ulteriormente.

Aprire le scuole significa evitare di segregare molti studenti in percorsi di studio che si rivelano poi un vicolo cieco. Gli Istituti tecnici superiori (Its) dovevano essere il principale canale per offrire un’istruzione terziaria professionalizzante, in grado di immettere rapidamente sul mercato del lavoro studenti provenienti dagli istituti tecnici e dalle scuole professionali, in linea con quanto avviene in Francia e Germania, e in parte anche Austria e Svizzera. Il Pnrr ha messo sul piatto ingenti risorse (un miliardo e mezzo al cospetto dei 50 milioni destinati annualmente dal fondo statale per gli Its) per aumentare il numero degli istituti e dotarli di laboratori. Ma gli Its continuano ad avere numeri irrisori (9 mila immatricolati e 7 mila che hanno completato il ciclo di studi nell’ultimo anno per cui ci sono dati disponibili), forse perché manca un raccordo con gli istituti tecnici e le scuole professionali.

Aprire le scuole vuol dire non discriminare gli studenti stranieri in un sistema scolastico che troppo presto segrega gli studenti orientandoli spesso in percorsi senza via d’uscita. Mostriamo come le attività di orientamento svolte dagli insegnanti tendano a spingere ragazzi e ragazze stranieri verso le scuole tecniche e professionali anche quando hanno risultati scolastici comparabili a quelli degli studenti italiani che vengono invece incoraggiati a iscriversi a un liceo classico o scientifico. La discriminazione in base alla nazionalità crea ostacoli anche all’integrazione sociale degli immigrati. Aumentare la consapevolezza fra gli studenti stranieri circa i pro e contro delle diverse opzioni loro proposte e fra gli insegnanti circa le conseguenze negative dell’isolamento degli studenti stranieri è perciò fondamentale. Lo ius scholae, l’introduzione di un percorso di acquisizione della cittadinanza basato sul completamento di un ciclo scolastico, può essere importante nel contrastare questo isolamento e nel creare questa consapevolezza. Ci sono stereotipi diffusi anche riguardo alle competenze delle donne nelle materie scientifiche e degli uomini in quelle letterarie. Sono stereotipi che tendono a segregare uomini e donne sul mercato del lavoro accentuando i divari retributivi di genere.

Come si vede, aprire le scuole non significa solo più risorse al sistema educativo, ma soprattutto risorse spese meglio. Significa anche condurre una vera e propria battaglia culturale a tutti i livelli perché ci sia un adeguato riconoscimento sociale del ruolo degli insegnanti, per far apprezzare la funzione socializzante e inclusiva degli asili nido, per superare stereotipi diffusi quanto fuorvianti sulla distribuzione dei talenti fra diversi gruppi socioeconomici e per offrire un’adeguata rappresentazione dei cambiamenti in corso nel mercato del lavoro a chi sta scegliendo il proprio corso di studi. Perché l’istruzione è un investimento fin dal primissimo grado. L’enfasi ricorrente (anche fra molti colleghi economisti) sulla necessità di rilanciare la spesa in conto capitale ha spinto il Pnrr a finanziare opere infrastrutturali spesso prive di senso anziché dare priorità a spese invocate da milioni di italiani, come già abbiamo avuto modo di rimarcare nel numero di eco dedicato alla sanità. La spesa in istruzione, anche quella corrente, volta a retribuire di più gli insegnanti più bravi e incoraggiare gli altri a fare meglio il loro lavoro, guarda al futuro molto più di tanta spesa cosiddetta “per investimenti” ed è proprio nella scuola che oggi si combatte la lotta agli sprechi. 

direttore@rivistaeco.com

Apriamo le scuole
6/2024
Apriamo le scuole

Il nostro sistema educativo disperde capitale umano a tutti i livelli: dagli asili nido fino all’università. Per una scuola di qualità servono prima di tutto insegnanti di qualità, ma il Pnrr non è riuscito sin qui a riformare reclutamento, retribuzioni e carriere degli insegnanti. E poi bisogna “aprire” le scuole, in senso letterale e in senso metaforico, per dare opportunità anche a chi proviene da contesti svantaggiati, a partire dai figli degli immigrati.

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